Paolo Di Lauro è considerato essere uno dei boss più feroci e sanguinari della Camorra.
A capo del clan mafioso protagonista, insieme a quello degli Scissionisti, della più violenta faida che ha disseminato il terrore nella periferia nord di Napoli, a Scampia e Secondigliano.
Il 16 settembre 2005 Paolo Di Lauro, il super latitante, viene arrestato proprio nella sua Secondigliano. Colto dalle forze dell’ordine a nascondersi in un piccolo appartamento sito nel “suo” quartiere. Si tratta di una data fondamentale nella storia della lotta alla camorra ed alla criminalità organizzata. Paolo Di Lauro, infatti, era al vertice di una gerarchia mafiosa che gestiva traffici illeciti di proporzioni enormi, oltre ogni immaginazione. Tra droga, armi e racket, ma non solo, quello dei Di Lauro era un “business” da milioni di euro, ogni mese.
Per non parlare degli omicidi commissionati, al fine di sgomberare il campo dai nemici e dai traditori, per assicurarsi il controllo del territorio.
Paolo Di Lauro, il boss senza volto
Paolo Di Lauro era anche popolarmente conosciuto come il boss senza volto. Infatti, sin dagli inizi della sua “ascesa al potere” conduce una vita estremamente ritirata. Non esce quasi mai dalla sua abitazione, una villa sita in via Cupa dell’Arco a Secondigliano. Vive quasi come un eremita, consapevole del fatto che nella sua posizione, esporsi più del dovuto sarebbe stato un grave errore di valutazione. Sposato, dieci figli, tutti maschi. Naturalmente, tutti addestrati a divenire camorristi spregiudicati e feroci.
Di Lauro gestiva il suo immenso traffico di affari illegali, comodamente tra le mura di casa sua. Servendosi dell’intricata rete di affiliati, ognuno circoscritto ad un preciso ruolo e sottoposto, secondo una rigida gerarchia.
Solamente a pochi e fedelissimi collaboratori era consentito recarsi presso la sua abitazione per conferire privatamente con lui. Molti dei suoi uomini, pur lavorando per suo conto, non lo avevano mai visto. Tanta era la curiosità nei suoi confronti che intorno alla sua immagine, si venne a creare un vero e proprio mito. Aleggiava su di lui, una sorta di aura misteriosa, conseguenza del suo “vivere ed agire nell’ombra”.
Il soprannome con il quale invece veniva riconosciuto era “Ciruzzo O’ Milionario”.
Il mercato della droga: Scampia e le Vele
Paolo Di Lauro inizia la sua salita al potere al fianco di Aniello La Monica, il più potente capo camorra di Secondigliano, noto per la sua estrema violenza. La Monica riconosce nel giovane Di Lauro uno straordinario carisma e per questo, lo tratta quasi come un figlio. Sotto la sua ala Di Lauro cresce e forma la sua mentalità criminale. Diviene autonomo, ed intuisce che per incrementare i guadagni derivanti dal traffico di stupefacenti era necessario apportare un significativo cambiamento, alla base.
Agli stretti ed intricati vicoli di Napoli, Di Lauro preferisce le larghe strade della periferia nord. Scampia, in particolare, con quei “palazzoni” prodotto dell’edilizia popolare, simbolo di forte degrado sociale, pareva essere il luogo ideale.

Tra i larghi corridoi delle Vele, labirintiche, era possibile istituire un vero e proprio mercato, anzi supermercato, della droga nella massima “sicurezza”, sia per gli spacciatori ma anche per i clienti. In quel luogo abbandonato dallo Stato, dimenticato dalle Istituzioni, sarebbe stato molto più semplice e produttivo trasferire il mercato dello spaccio. La Monica non condivide questo slancio innovativo, ancorato ai vecchi meccanismi. Di Lauro, deciso a prendere il controllo del clan ed a portare una ventata di nuovo, organizza l’uccisione di Aniello La Monica.
Sotto il comando di Paolo Di Lauro Scampia diventa la più grande piazza di spaccio in Europa. Inizia qui, la discesa di Scampia verso il degrado che la porta a essere considerata come uno tra i quartieri più malfamati, al mondo.
Il business della cocaina
Di Lauro innesta un sistema di compra-vendita di stupefacenti funzionale e innovativo. Taglia gli intermediari che, prima, mediavano le trattative ed il trasporto stesso della droga, dalla Colombia a Napoli. Il clan, infatti, si rifornisce direttamente dalla Colombia. Si stima che ad ogni viaggio circa 500 chili di droga giungevano al porto di Napoli, specialmente cocaina. Di fatto, questo nuovo meccanismo consentiva guadagni molto più elevati.
Emerge dalle indagini che il guadagno del clan Di Lauro derivante dal solo traffico di droga si aggirasse attorno a 15 milioni di euro mensili.
Il mercato della droga si poggiava su una struttura gerarchica precisa, nessuno poteva permettersi di sgarrare. Ogni uomo aveva il suo compito, per il quale veniva “stipendiato”. Dalle indagini risulta che un pusher arrivasse a percepire tra le 2000 e le 4000 euro al mese.
Di Lauro sceglie Scampia non solo per la sua conformazione architettonica ma anche perché sa molto bene essere una della zone con il più alto tasso di disoccupazione. Sono molte le persone senza lavoro, che per sopravvivere cedono ad ogni genere di compromesso. Tanto più sono attirati dai guadagni “facili”. La disperazione altrui è la miglior forma di garanzia per lui. Fedeltà e sottomissione, omertà e tacito consenso sono indiscussi.
Il clan, inoltre, si serviva dei cosiddetti “Visitors” per testare la droga, prima di metterla sul mercato. I Visitors erano tossicodipendenti sfruttati come cavie. Testavano infatti la droga che giungeva dalla Colombia, prestandosi per l’appunto come cavie, in cambio di potersi drogare a costo zero. Certo, poteva accadere che una delle cavie, morisse nell’assumere tali sostanze. Significava “semplicemente” che era necessario rivedere il taglio della droga, prima che raggiungesse il mercato, a caro prezzo.
La faida di Scampia: Di lauro e Scissionisti
Scampia è ormai piazza di spaccio, le strade sono disseminate di spacciatori, drogati e morti. All’interno del clan dei Di Lauro si produce una scissione. Una parte di affiliati sceglie di opporsi al boss e di assumere una posizione autonoma e contrapposta.
Da un lato i fedeli a Paolo Di Lauro, dall’altro gli Scissionisti. Inizia la faida, in cui a colpi di proiettile muoiono, quotidianamente, membri dell’uno e dall’altro clan, ma anche rispettivi parenti, amici e conoscenti. Un vera carneficina, senza regole, senza limiti. La vita umana perde ogni valore ed ogni significato. Tutta questa ferocia è riconducibile alla lotta per il controllo del territorio, per il monopolio degli affari illeciti e per vendicare torti subiti.
Numerose furono le vittime innocenti. Persone che non avevano nulla a che vedere con la camorra e con lo spaccio, uccisi per sbaglio, perché scambiati per qualcun altro. È il caso di Antonio Landieri, un ragazzo di 25 anni, disabile, che perse la vita durante una sparatoria nel mezzo della quale non c’entrava nulla. Era la persona sbagliata al momento sbagliato. Questa la sua colpa. Come lui molti altri, tra cui Gelsomina Verde, ex-fidanzata di un affiliato e Dario Scherillo, proprietario di un’autoscuola. Freddato davanti al suo negozio per “errore”. I killer lo scambiano con il vero obbiettivo di quella furia omicida, dopo aver compreso l’equivoco per Dario era già troppo tardi.
L’arresto di Paolo di Lauro
Dal 1997 Paolo Di Lauro aveva fatto completamente perdere le sue tracce, resosi irreperibile. Latitante dal 2002 viene finalmente catturato il 16 settembre del 2005.
Si ipotizza che la sua presenza a Secondigliano fosse dovuta all’arresto di suo figlio Cosimo. Di Lauro si trovava nascosto nell’appartamento di una donna, Fortuna Liguori.
Non stupisce, in fin dei conti, che Di Lauro sia stato arrestato proprio nel suo “territorio”. Infatti, protetto dal muro di omertà costruito dalla gente del quartiere, Di Lauro si sentiva al sicuro. Sarebbe probabilmente ancora latitante se non fosse stato per un “peccato di gola”.
Era ormai noto quali fossero i gusti del boss, a tavola. Fortuna Liguori, in effetti, si recava quotidianamente ad acquistare primizie e alimenti piuttosto costosi, tra cui il salmone. Sotto stretta osservazione da parte degli inquirenti, la donna conduce, inconsapevolmente, le autorità direttamente al nascondiglio del boss.
Alle 5.45 del 16 settembre i Carabinieri del Ros accerchiano il palazzo in cui si presume essere nascosto Di Lauro e fanno irruzione nell’appartamento. Senza opporre resistenza Di Lauro si fa mettere le manette e trasportare al di fuori dagli agenti.
Anche in questa circostanza non mostra il volto, che tiene rivolto verso il basso guardando a terra.
Condanna e pena
Condannato al massimo della pena, Paolo Di Lauro oggi sta scontando tre ergastoli. Detenuto al 41-bis è sottoposto al regime di carcere duro. Seguì la confisca di tutte le proprietà, compresa la villa in via Cupa dell’Arco, dove oggi sorge la sede della polizia municipale.