Le relazioni tra Turchia e Russia stanno migliorando. Lo afferma Erdoğan riguardo a Siria, difesa e turismo: il reciproco aiuto può portare in breve tempo a una soluzione condivisa della crisi siriana nonché all’uscita della Turchia dalla crisi economica e monetaria in cui è recentemente precipitata.
Chiave di volta di questa rinnovata vicinanza sono gli accordi di Sochi, voluti da Russia, Turchia e Iran e tenutisi in Russia, volti a discutere il futuro assetto della Siria postbellica. Qui Putin ed Erdoğan si sono incontrati il 17 settembre per stabilire una linea da seguire rispetto all‘imminente massiccia offensiva governativa sul governatorato di Idlib, osservata attentamente a livello internazionale dal momento che la prospettiva è quella di un bagno di sangue.
Gli accordi del 17 settembre prevedono invece la creazione di una zona demilitarizzata, inaccessibile sia ai ribelli che ai lealisti, pattugliata da soldati russi e turchi. Sarà larga dai 15 ai 25 chilometri e sarà attiva entro il prossimo 15 ottobre. Nell’accordo anche il ritiro dalla zona di tutti gli armamenti pesanti e l’espulsione dei militanti islamisti wahabiti e salafiti.
La caduta di Idlib significherebbe molte cose per molti attori regionali. Per il governo siriano si tratterebbe dell’ultimo trionfo contro i ribelli prima di tornare nel pieno possesso del territorio nazionale (fatta eccezione per il Rojava). Una volta caduta Idlib la Siria, come stabilito dagli accordi di Sochi, dovrà dotarsi di una nuova costituzione, che sarà molto probabilmente federale e prevederà abbastanza verosimilmente una maggiore autonomia per i curdi del Rojava, al fine di garantire al governo di Assad una maggiore stabilità.
Erdoğan dal canto suo si trova tra Scilla e Cariddi. Da una parte la volontà di difendere Idlib, sia per evitare che un numero immenso di profughi (A Idlib, ricordiamolo, si erano diretti tutti i ribelli evacuati dalle altre zone della Siria) si riversi oltre il confine turco, sia per proteggere i gruppi ribelli da lui fino a questo momento sponsorizzati, dai cosiddetti “moderati”, da anni praticamente volatilizzati, ai gruppi islamici più radicali. Con ciò la caduta di Idlib significherebbe per lui la perdita di tutta l’influenza guadagnata ad oggi in Siria, dalla campagna di Afrin in poi. Dall’altra parte però Ankara sta cercando di smarcarsi dalla possibilità di conflitto diretto con Assad, ostacolandolo il meno possibile. Il problema più pressante per la Turchia è quello rappresentato dai Curdi, sia in patria, con la campagna terroristica del PKK, che in Siria, con l’entità parastatale del Rojava, organizzato secondo dettami marxisti-leninisti.
L’accordo serve dunque a bilanciare tutte queste istanze diverse per evitare a Idlib quella che l’ONU definisce una “catastrofe umanitaria”. Dal canto nostro, vedremo ben presto se l’accordo terrà, e se sarà compatibile con le ambizioni neo-ottomane di Erdoğan.