venerdì, Aprile 18, 2025

Parole dell’io, fra psicoanalisi e letteratura

Un calendario di incontri pomeridiani sull’io e le parole, all’Università La Sapienza di Roma, per ripartire dai classici.

Soddisfare un bisogno di interdisciplinarietà. Offrire ad italianisti e psicoanalisti l’occasione di tessere le molte frange dialogiche che legano psicoanalisi e letteratura. Questi, gli obiettivi del ciclo di seminari intitolato “Parole dell’io”, (a cura di Tito Baldini e Laura di Nicola) organizzato dalla Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e dal Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche de La Sapienza di Roma.

Parole, segni e simboli.

Gli interventi, orbitando attorno ad una singola parola scelta per ciascun appuntamento, sono partiti e si avvieranno ancora dalla lettera di testi classici.

Seguiranno, infatti, di qui al 25 gennaio prossimo: Melanconia, Identità, Sogno d’amore, Coscienza, Solitudine, Desiderio, Transito e Leggerezza. Tematiche da indagare nel perimetro del canone letterario. Concetti che evocheranno: Leopardi, Pirandello, Aleramo, Svevo, Pavese, de Céspedes, Pasolini e Calvino.

 Dall’Amore al Destino.

Gli interventi di ieri si sono focalizzati – per il secondo incontro del calendario – sul Destino Un tema non meno impegnativo del precedente: Amore

Il dialogo, dunque, ha preso le mosse il 26 ottobre scorso dalla tematica amorosa, ascritta alla Commedia di Dante. Sono intervenuti Giorgio Inglese e Domenico Chianese, dopo le parole di apertura del Preside di Facoltà Stefano Asperti, del Direttore dipartimentale Giovanni Solimine e del Vicepresidente della SPI, Fabio Castriota.

La parola è carne e sangue

ha sottolineato Tito Baldini, curatore della rassegna, poiché è in grado di trasformare le anime, lasciandosi a sua volta plasmare da queste.

Dante e Freud: gli Inferi e l’inconscio.

Con questa consapevolezza, Inglese ha analizzato la «compostezza classica» dell’Amore dantesco. Un amore così inestricabile, idealmente, dalla virtù della gentilezza e dalla necessaria ambizione alla continenza. Cantato come una forza ineluttabile e coercitiva, tutta intrisa di un senso di peccato, l’amore infernale di Paolo e Francesca prolunga in eterno, per contrappasso, la sua incessante frustrazione.

Con Chianese, inoltre, un utile parallelismo è stato possibile: quello fra gli Inferi e l’inconscio.

Come Dante, Freud indaga i sotterranei, i sottosuoli, gli Inferi della psiche umana. Come Dante, Freud percorre un itinerario catartico.

Freud compie, peraltro, un atto d’amore terapeutico verso i suoi pazienti. Onora, cioè, la forza dell’Eros. Una forza che è capace di tenere insieme spiritualmente e biologicamente tutte le parti della nostra realtà psico-somatica.

Da Boccaccio al trauma.

Ieri, invece, in occasione del secondo appuntamento, gli interventi di Monica Cristina Storini e Laura Accetti hanno vagliato il tema del Destino, prendendo le mosse dal Decameron.

La riflessione, muovendo dalle accezioni del termine in questione (riportate sul Tommaseo), ha messo in luce una duplicità semantica. Un carattere bifronte, dunque, che fa da specchio alla doppia possibilità dell’umano: quella di riscattarsi o mortificarsi davanti alle avversità della sorte.

«il Destino» ha affermato la Storini «è la capacità intellettiva che rivisita ciò che ci è capitato, offrendolo come elemento di riflessione sull’esistenza, proprio attraverso la forza della parola».

Narrare per rivivere.

Al centro delle potenzialità intrinseche alla parola (e dischiuse dall’atto del narrare) si colloca la creatività umana. Sempre in grado di “risignificare” un trauma, la parola sa cogliere l’opportunità della coazione a ripetere. Questa coazione può essere simbolizzata e capita. Una volta reinterpretata, infatti, scagiona l’individuo da un eterno ritorno, cieco e affliggente.

Il legame fra trauma e coazione a ripetere, ha detto Laura Accetti, può essere pensato come «il monumento al ricordo di un’esperienza che è stata penosa» per l’individuo.

Non possiamo dimenticare, però, che la parola è nata affinché l’io potesse conoscere pienamente l‘altro. È allora nelle possibilità della parola ridare senso e vita al trauma. Liberare l’io dalla prigione della reiterazione.

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