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9 NOVEMBRE 1918: LA REPUBBLICA DI WEIMAR

Quando nel 1918 finisce la guerra, la Germania è una nazione esausta, prostrata dalla guerra, le perdite umane sono state ingentissime, si contano un milione e ottocentomila morti e più di quattro milioni di feriti. La rivolta popolare è spontanea ma senza nessuna guida ideologica oppure organizzativa in grado di guidare le masse alla presa ed al consolidamento del potere. È alimentata dalla fame, dalla delusione della guerra perduta, dalla volontà diffusa di cacciarne i responsabili. Il fronte rivoluzionario vogliono è diviso tra chi vuole la la democrazia parlamentare echi di orienta verso il sistema sovietico; ma tutti vogliono la Repubblica e le dimissioni del Kaiser. Il 30 settembre 1918 il cancelliere Hertling rassegna le sue dimissioni e la carica viene assunta il 3 ottobre dal principe Max von Baden, un monarchico liberale favorevole alle riforme interne e all’intesa internazionale. L’8 novembre il cancelliere Max von Baden chiede con fermezza all’imperatore di abdicare. Gli operai di Berlino scendono nelle strade, il generale Hindenburg e il generale Groener, successore del generale Ludendorff, si uniscono alla richiesta avanzata dal cancelliere. Gli eventi precipitano, il kaiser Guglielmo II tergiversa ed il Cancelliere von Baden ne annuncia l’abdicazione nominando suo successore il leader socialdemocratico Friedrich Ebert. In questo clima ormai assai prossimo alla rivoluzione totale, il 9 novembre 1918 i leader socialdemocratici Friedrich Ebert e Philipp Scheidemann, da un balcone del Reichstag, proclamano la repubblica. Ebert diventa così il capo del primo governo repubblicano provvisorio di sei membri, tre socialdemocratici e tre indipendenti (che resisterà meno di due mesi) che si prefiggono il compito di neutralizzare le spinte popolari verso la rivoluzione socialista. Il Partito socialdemocratico si attesta su posizioni riformiste e ripudia la rivoluzione. La notte stessa del 9 novembre 1918 il kaiser Guglielmo II fugge in Olanda: nasce la Repubblica di Weimar. Ormai tutta la Germania ribolle di rabbia operaia che a macchia d’olio si dirama in tutto il Paese con la nascita dei Consigli di operai e di soldati, alla stregua di quanto già successo in Russia. Il governo provvisorio travolto dagli eventi, disunito ed incapace di fare fronte alle richieste popolari anche perché pressato dalla casta militarista, cede di schianto: i parlamentari indipendenti si dimettono ed il 27 dicembre 1918 si arriva allo scioglimento. L’unica forza politica che avrebbe potuto mettersi alla testa delle forze rivoluzionarie – il Partito Socialdemocratico – è paralizzato dalle sue stesse divisioni interne tra l’ala decisamente moderata e quella timidamente riformista, unite però dall’impreparazione politica nei confronti degli avvenimenti in corso. La borghesia è spaventata dalle dimostrazioni di massa e si appoggia alla casta militare, motivata a vendicare l’onore perso in battaglia ed a rifare grande la Germania. Dalla paura di perdere l’occasione di governare e dalla voglia di rivalsa nazionale nasce una strana alleanza tra la socialdemocrazia e le forze militariste della destra più estrema: nessuna delle due forze ha da sola la forza di placare l’ondata rivoluzionaria, insieme ci riusciranno facilmente.
Alla classe operaia ed alle masse popolari sfruttate ed affamate manca l’avanguardia rivoluzionaria, il Partito che – come dimostrato da un anno in Russia – è in grado di conquistare e difendere la libertà e di organizzarle e guidarle alla vittoria; né tantomeno è possibile pensare ad un aiuto russo.
Tre eminenti dirigenti comunisti – Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Karl Liebknecht – avrebbero comunque tentato la via della rivoluzione socialista fondando la «Lega Spartachista» (Spartakusbund) il 1 gennaio 1919 ma senza ottenere una mobilitazione di massa organizzata ed incisiva repressa in maniera spietata dall’esercito tedesco fiancheggiato dai paramilitari dei «Corpi Liberi» (Freikorps) ovverosia nuclei armati composti da militari ed ex militari dalle cui fila proverranno nel giro di qualche anno alcuni tra i leadership nazisti.
Il governo socialdemocratico, forte dell’alleanza con la casta militare revanscista, usa il pugno di ferro: i paramilitari sono sguinzagliati alla caccia dei comunisti senza freno alcuno: in un paio di settimane l’esercito entra in azione e il 15 gennaio 1919 Rita Luxemburg e Karl Liebknecht vengono uccisi da un gruppo paramilitare. Altri scioperi spontanei e tentativi insurrezionali disorganizzati sono repressi ovunque sorgano in tutta la Germania: a Brema come a Monaco di Baviera dove, il 28 febbraio 1919, viene assassinato Kurt Eisners, governatore socialista indipendente del Land.
La reazione popolare ed operaia della Baviera all’assassinio del governatore è altrettanto violenta ma disorganizzata: sciopero generale e promulgazione della «Repubblica Sovietica» che però durerà fino a maggio di quell’anno, per poi essere travolta sotto i colpi dei paramilitari chiamati in causa dal ministro socialdemocratico della Difesa Gustav Noske.
La rivoluzione socialista è repressa ma resterà insanabile la frattura fra socialdemocratici e comunisti, foriera di lì a qualche anno del fallimento dell’opposizione all’ascesa del nazismo.
Il 19 gennaio 1919 viene eletta l’Assemblea Costituente ed ai deputati viene affidato l’incarico di redigere la Costituzione: votano più di trenta milioni di tedeschi nonostante la chiamata “suicida” al boicottaggio da parte dei comunisti. Il partito socialdemocratico esce vincitore dalla consultazione e la neo-eletta Assemblea costituente esprime una maggioranza politica fautrici della creazione di una democrazia borghese e parlamentare.
L’Assemblea nazionale apre i lavori il 9 febbraio 1919 e due giorni più tardi elegge quale Presidente della Repubblica il socialdemocratico Friedrich Ebert che, a sua volta, incarica un altro politico socialdemocratico, Philipp Scheidemann, di formare un governo costituito dai tre partiti maggioritari, socialdemocratici, cattolici di centro e democratici: nasce la «coalizione di Weimar».
A complicare e far deteriorare la situazione politica interna per nulla stabile sopraggiunge il trattato di Versailles che punta – e ci riesce – ad umiliare la Germania ed il popolo tedesco.
Viene commesso in tal modo un gravissimo errore perché si indebolisce il governo democratico parlamentare e, soprattutto, si umilia un popolo intero che infatti non tarderà ad appoggiare quelle forze politiche che in piazza grideranno alla rinascita della Germania.
Il trattato di Versailles impone pesanti gravami economici e politici alla Germania sconfitta: l’Alsazia-Lorena è restituita alla Francia, la Prussia orientale viene separata dal cuore della Germania con la cessione alla Polonia della Prussia occidentale, della Slesia superiore e della Posnania; Danzica diventa una città libera; il Belgio acquista alcuni piccoli distretti. La Germania viene privata di tutte le sue colonie, si proibisce la fusione con l’Austria, si impone l’occupazione militare della sponda sinistra del Reno e gli alleati prendono immediatamente possesso del bacino della Saar. L’esercito tedesco viene ridotto a 100.000 effettivi, la marina a 16.000, l’aeronautica viene vietata. Ma le condizioni più inaccettabili e che porteranno di filato all’avvento del nazismo con tutte le nefaste conseguenze che ancora oggi l’Europa intera sconta, sono quelle: che prevedono la consegna da parte della Germania dei “criminali di guerra” incluso il deposto imperatore perché siano processati per atrocità; che sono riportate nell’articolo 231 del Trattato dove è previsto che la Germania e i suoi alleati accettino la responsabilità di aver provocato tutte le perdite e i danni a cui le potenze alleate erano state esposte dalla loro aggressione; che fissano le riparazioni in denaro nell’enorme cifra di 269 miliardi di marchi-oro pagabili in quarant’anni, scontati poi in 132 miliardi per trent’anni.  In tutto questo fervento, la Costituzione viene approvata dopo sei mesi di lavori, il 31 luglio del 1919, e diviene legge l’11 agosto. Prevede una repubblica federale (il territorio viene suddiviso in 17 Lander = regioni); un Reichstag eletto a suffragio universale, a partire dai vent’anni di età, con il sistema proporzionale, cui spetta il potere legislativo; la possibilità di promuovere referendum e leggi di iniziativa popolare; un presidente del Reich eletto direttamente ogni 7 anni, cui spetta il potere esecutivo, la nomina del cancelliere, la guida dell’esercito. Ma l’articolo 48 della Costituzione prevede che, ove la sicurezza dello Stato sia posta in pericolo, il Presidente della Repubblica abbia facoltà di prendere provvedimenti d’emergenza con valore di legge: esattamente 20 anni dopo questo articolo avrebbe, purtroppo, assunto una grave importanza storica.
In un clima sociale teso ed esasperato la Repubblica continua ad essere sotto “il fuoco incrociato” sia politico che militare delle forze di destra e di estrema destra, per nulla sostenuta dai socialdemocratici al governo fermi ed incredibilmente in attesa degli eventi.
Nel marzo del 1920 si assiste anche ad un tentativo di colpo di stato promosso sempre dai «Freikorps» ormai padroni delle piazze; in seguito al putsch, il cancelliere Bauer lascia il posto al compagno di partito Müller che riesce a mantenere l’unità della coalizione fino alle elezioni convocate per il 6 giugno di quell’anno.
Le elezioni per le forze socialdemocratiche e repubblicane si rivelano un disastro: il partito tedesco-nazionale e il tedesco-popolare emergono con forza sulla scena politica guadagnando milioni di voti e dozzine di seggi; il partito democratico scende a quasi un terzo della sua forza elettorale, il partito socialdemocratico raccoglie soltanto cinque milioni e mezzo di voti, mentre i socialisti indipendenti entrano sulla scena politica con forza. La coalizione di Weimar, pur con undici milioni di voti e 225 deputati, perde il controllo del Reichstag; la Destra è padrona del Parlamento e del Paese.
Anche in virtù del clima politico favorevole, le forze paramilitari di Destra continuano e potenziano atti di terrorismo e di sobillazione: nell’agosto del 1921 viene ucciso il ministro delle finanze Matthias Erzberger, che aveva firmato l’armistizio di Versailles; nel giugno del 1922 viene assassinato Walther Rathenau, ministro degli esteri, proprietario dell’industria Aeg, uomo di profonda cultura, che stava lavorando per l’applicazione di quegli accordi. Tra il 1919 e il 1922 vengono commessi 376 omicidi politici, quasi tutti da parte dell’estrema destra e persiste una grave situazione economica. Il 1923, poi, è un anno in cui anche la crisi politica diventa devastante: a gennaio la Francia e il Belgio occupano il bacino della Ruhr facendo montare la rabbia popolare abilmente capitalizzata dalle formazioni della destra reazionaria; nella notte tra 8 e 9 novembre Hitler e i suoi seguaci tentano un putsch a Monaco. La crisi economica non è da meno, i prezzi galoppano e per pagare gli enormi costi della guerra, il governo tedesco comincia a fare ciò che fanno tutti i governi con spese statali fuori controllo: stampa più banconote, con le conseguenze facilmente prevedibili sul versante inflazionistico. Questa inflazione comincia rapidamente ad aggravarsi ed il denaro perde di valore a vista d’occhio: pane, latte e patate dapprima si pagano con alcune migliaia di marchi, poi con milioni di marchi ed infine con miliardi e addirittura migliaia di miliardi di marchi.
Gli operai vengono pagati ogni giorno e dall’ufficio paga corrono subito verso il mercato per spendere tutto e subito perché un’ora più tardi i prezzi potevano essere già raddoppiati e il giorno dopo le stesse banconote non valevano più nulla; duecento fabbriche di carta stampano, giorno e notte, nuove banconote, francobolli e altri valori con sopra delle cifre sempre più astronomiche. Alla fine di quell’anno tremendo – il 1923 – la giovane Repubblica di Weimar ha visto due tentativi di colpo di stato, centinaia di omicidi politici, un’inflazione senza precedenti nella storia e un conseguente esaurimento dell’economia. Ma il 1923 è anche l’anno che vede Gustav Stresemann protagonista della rinascita politica ed economica: dapprima cancelliere riesce a far cessare gli scioperi e a riannodare il confronto con gli alleati vincitori, in particolare con la Francia e poi, dopo, viene nominato ministro degli esteri e in questo ruolo, con la collaborazione del suo omologo francese Aristide Briand, sottoscrive il «Patto di Locarno» con cui la Germania, il Belgio, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia s’impegnano a garantire le frontiere franco-tedesca e germano-belga (1925), ottiene l’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni (1926) e sottoscrive il trattato di non aggressione russo-germanico. Nel frattempo gli Stati Uniti varano il «Piano Dawes» a sostegno dell’economia tedesca e cessa l’occupazione della Ruhr. L’economia riprende fiato, finanzieri americani e inglesi concedono prestiti, la stabilità della Germania pare un fatto acquisito.
Nei cinque anni successivi il Paese vive un fortissimo rilancio economico. Sono i cosiddetti “anni d’oro” della Repubblica di Weimar. Insieme ad una sorprendente capacità di ripresa economica, la Germania dimostra una straordinaria vivacità in campo culturale. Cominciano a fiorire il cinema, il teatro, la letteratura, la pittura, la musica, i cabaret. Ma giunge anche per la ritrovata Germania il “venerdì nero” nel 1929: a New York crolla la Borsa e inizia una lunga e profonda crisi economica mondiale. La Germania, il cui boom è dipendente in gran parte dagli scambi commerciali e dai soldi americani, è colpita più di ogni altra nazione ed oltre al proletariato, anche gli impiegati, i negozianti, gli artigiani, i piccoli commercianti, sono schiacciati dalle difficoltà economiche. E’ il fallimento per banche ed aziende ma soprattutto la rovina per la classe media, che inizia compatta a guardare al partito nazista come l’unico in grado di riportare il Paese, dopo la precedente crisi economica, alla grandezza ed al prestigio del Reich anche perché i governi che si susseguono dal 1929 sono litigiosi è scarsamente rappresentativi, socialdemocratici e socialisti sono aspramente in lotta e diffidenti tra di loro. In pochi anni, dal 1929 al 1932, il Paese precipita di nuovo in una crisi che sembra anch’essa inarrestabile e che vede alla fine l’arrivo sulla scena di Adolf Hitler che non esita a sfidare i partiti tradizionali nelle elezioni del 1930 facendo leva sul sentimento di frustrazione che serpeggia nella maggioranza del popolo tedesco e sulla guerra suicida che si combattono in Parlamento ben 13 partiti.
La Repubblica di Weimar ha visto venti governi in quattordici anni, cinque elezioni politiche negli ultimi sei anni, un mare sempre crescente di disoccupati, una violenza politica sulle strade soprattutto con morti e feriti quasi ogni fine settimana. Questo scenario fa svanire definitivamente ogni fiducia delle masse popolari nella via democratica che entra in un’agonia politica irreversibile. Le elezioni del 1930 sono il primo grande successo per Hitler e il suo partito ed un campanello d’allarme a cui nessun politico tedesco presta orecchio. La repubblica di Weimar comincia a sgretolarsi e crolla definitivamente il 30 gennaio 1933 allorquando Adolf Hitler viene nominato cancelliere.

Raffaele Coppola
Raffaele Coppola
Laurea in Scienze Politiche, indirizzo storico-politico

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