Chi conosce la politica, sa che le promesse in questo mondo valgono poco.
Per carità, è certamente lecito mutare idea, soprattutto in un ambiente che a sua volta muta di continuo.
Non bisogna scandalizzarsi dunque, se nonostante le rassicurazioni sulla tenuta dell’esecutivo, è in atto la crisi che ne determinerà la fine.
Vorrei però, porre l’attenzione sulle modalità di innesco di tale scenario istituzionale, certamente dissimili rispetto alla storia repubblicana recente.
Dissimili in quanto, per la prima volta nel nuovo millennio, sono cambiati in corsa i rapporti di forza tra le parti politiche che sostenevano il governo.
La tornata di consultazioni europee ha restituito infatti un ribaltamento praticamente perfetto in termini di consenso percentuale tra la Lega, che ha visto raddoppiare le proprie preferenze e il Movimento 5 stelle che le ha viste dimezzare.
Dal 26 maggio in poi, la tendenza a salire della Lega, e quella a scendere dei Grillini è continuata inesorabilmente sino a portare gli ultimi sondaggi a concedere al partito di Salvini una maggioranza prospettata vicino al 40%.
Il momento ideale dunque, per rompere l’accordo di governo e provare a capitalizzare subito l’onda del consenso.
Magari dopo aver ottenuto l’approvazione del Decreto Sicurezza Bis, e magari un attimo prima che si voti sulla riduzione del numero dei parlamentari, e che i 5 stelle riescano a mettere mano sulla giustizia.
Per carità, solo ipotesi, ma sembra strano anche il pretesto addotto.
La mozione Tav, che nonostante i voti contrari dei 5 stelle, ha comunque dato un esito favorevole a chi proponeva la realizzazione dell’opera, Lega in testa.
E non si può credere neppure alla retorica dei no, di una rottura dovuta ad un governo che gira col rallentatore.
Lo ha detto chiaramente Conte, il governo ha lavorato sempre tanto, parlando poco.
E lo ha fatto anche in questi giorni, mentre Salvini era impegnato nel suo tour estivo delle spiagge italiane.
Ha lavorato tanto, soprattutto nell’ultimo mese, che ha visto partire la macchina di concertazione con le parti sociali, ai fini della redazione e approvazione della legge di bilancio.
E anche qui, Salvini, ha fatto capire che il ruolo di Premier in pectore non andava più bene, andando a convocare le parti sociali in autonomia al Viminale, cercando una concertazione disomogenea, quasi a voler far intravedere la rottura vicina.
Senza dubbio, però, una scortesia notevole o meglio, una violazione grave della grammatica istituzionale.
E poi, appunto, la legge di bilancio.
I tempi sono stretti, strettissimi.
Entro ottobre la manovra dovrebbe essere pronta e approvata entro fine anno.
Ora anche a voler forzare la mano, sembra improbabile che possa lavorarci un nuovo esecutivo.
Ed allora la strada migliore imporrebbe che la stesura e la redazione sia affidata ad un governo tecnico o di scopo.
Che levi le castagne dal fuoco e che possibilmente per disinnescare le clausole di salvaguardia iva, spinga per una manovra lacrime e sangue.
Insomma, un delitto perfetto.
Essere gli artefici di una manovra forzata e firmata da un esecutivo tecnico, per poi andare in tv a strillare e a capitalizzare ancora di più il consenso.
Un leader solo al comando, reclamante pieni poteri.
La mossa perfetta. O forse, no.